L’Urban farm di Tokyo e la speranza di un nuovo satoyama
Nella campagna giapponese sono frequentissimi i piccoli villaggi di agricoltori fatti di strade di terra battuta, qualche casa dal tetto spiovente e campi costeggiati da canali d’acqua che s’interrompono alle porte della foresta. Esiste un parola in giapponese per definire esattamente questi luoghi a metà tra la campagna coltivata e la foresta, tra lo spazio umano e lo spazio naturale: satoyama.
Il termine è scomponibile in due ideogrammi, sato (里) “villaggio” e yama (山) “montagna” e viene utilizzato sia per nominare il confine tra queste due sfere, sia, in modo più esteso, per indicare il luogo in cui il paesaggio rurale si integra perfettamente con il paesaggio naturale in un ecosistema agricolo rispettoso e bilanciato. Il satoyama è lo spazio dell’uomo che abita la natura, lo spazio che l’agricoltore si ritaglia dall’ambiente selvaggio.
A ritagliarsi uno spazio di campi ordinati ha provato anche l’azienda Pasona nella sua sede di Tokyo.
Cos’è l’Urban farm
Nel 2010 lo studio Kono designs ha inaugurato la nuova sede della ditta giapponese Pasona: l’Urban farm. Si tratta di un edificio di nove piani situato nel centro di Tokyo che è stato trasformato in una vera e propria fattoria urbana. Circa un quinto dell’intera superficie interna è dedicata alla coltivazione di ortaggi e piante da frutto che vengono fatte crescere in delle aiuole o delle piccole serre per una varietà di oltre 200 specie di piante, verdure, riso e frutta.
Le coltivazioni non sono relegate ad una propria zona, ma diffuse in tutto l’edificio, in questo modo quasi tutti gli ambienti della sede interagiscono attivamente con la vegetazione. La struttura, oltre agli uffici e le aree di coltura, ospita anche un auditorium, un bar e un giardino panoramico. I dipendenti sono invogliati dalla dirigenza a curare il proprio pezzetto di orto urbano e vengono seguiti da agricoltori esperti sopratutto all’inizio della loro esperienza. I prodotti raccolti vengono poi cucinati dall’azienda stessa e serviti nella mensa al primo piano.
Il senso di tutto questo, di dipendenti che coltivano nel proprio ufficio e mangiano i propri prodotti, di piante di pomodoro che si arrampicano sulle pareti e piccoli campi di grano a pochi metri dalla propria scrivania, sta nel riportare le strutture di lavoro ad una dimensione umana e, per questo, gratificante, soddisfacente.
Il villaggio nella città
Spiegando l’importanza del progetto, il responsabile dello studio Kono commenta così:
E’ importante non pensare solo a come possiamo utilizzare le nostre risorse naturali, ma di impegnarsi attivamente con la natura e creare nuovi gruppi di persone che hanno un profondo interesse e rispetto per il mondo in cui vivono. E’ importante notare che questo non è un edificio passivo con piante sulle pareti, si tratta di un edificio in fase di crescita, con impianti utilizzati per laboratori didattici dove, sia i dipendenti di Pasona che le persone esterne, possono entrare e conoscere le pratiche agricole.
Si tratta quindi di questo: mettere in stretto contatto uomo e natura all’interno di spazi in cui ci si possa riconoscere; immaginare un nuovo tipo di satoyama in cui lo spazio umano sia strappato al selvaggio della città, al fitto del cemento che è diventato col tempo un non-luogo. Si tratta di guarire la città aprendo squarci di campagna nel suo tessuto grigio e intristito.
Ora che i villaggi si sono trasformati in città, le città in metropoli, e le metropoli, troppo spesso, in foreste inumane in cui chi le abita smarrisce se stesso, è essenziale tornare ad affermare l’uomo come sempre si è fatto: coltivando un campo, raccogliendo il proprio frutto, costruendo un villaggio con persone che lavorano assieme. Il percorso è tracciato, costruire un villaggio nella città e abitarlo e curarlo, fare spazio nella città, integrandola e ricolorandola di verde e di umano.
Di Gabriele Lattanzi
© Pasona Urban Farm
© Pasona Urban Farm